– di Tindaro Gatani –
I ricorrenti dissapori tra Italia e Francia ci ricordano tutta una serie di dissidi, di guerre doganali, di reciproche accuse, che hanno portato i due Paesi a sconvenienti e reiterati scontri. Un brutto film che dura da otto secoli: dal tempo dei Vespri Siciliani.
Federico II di Svevia, imperatore del Sacro Romano Impero, che si era posto alla testa dei ghibellini italiani e tedeschi; il sovrano illuminato che era riuscito a far convivere in perfetta armonia l’anima cristiana e quella islamica della Sicilia, dove aveva stabilito la sua Corte, morì il 17 dicembre 1250. Sul trono di Sicilia gli successe allora il figlio naturale Manfredi, che manifestò la ferma intenzione di riunire sotto il suo scettro tutta l’Italia. Quello che fu il primo vero e proprio tentativo dell’unità della Penisola, si scontrò però con le mire di re Luigi IX di Francia, che era riuscito a imporre sul soglio di Pietro il suo connazionale Jacques Pantaléon, che fu papa, con il nome di Urbano IV, dal 1261 al 1264.
Luigi IX, che poi sarà canonizzato e fatto santo, fece scomunicare Manfredi e assegnare il suo regno al fratello Carlo d’Angiò, che concordò con il nuovo papa Clemente IV la sua discesa in Italia, impegnandosi nella lotta contro i ghibellini e la casa di Svevia. Il Papa indisse allora una crociata contro Manfredi. Lo scontro tra Angioini e Svevi avvenne il 26 febbraio 1266 a Benevento. Carlo d’Angiò, battendo Manfredi, che morì nel corso di quella battaglia, si assicurava il possesso del Regno di Napoli e di Sicilia, segnando il trionfo dei guelfi in tutta Italia, a esclusione di Verona e Pavia che rimasero filo-imperiali.
Re Carlo aveva grandi progetti, voleva fare della Sicilia la base di partenza per la conquista dei Balcani, della Grecia, dell’Impero bizantino, ma prima dovette seguire a malincuore il fratello alla crociata di Tunisi. Arrivò sul suolo africano il 25 agosto 1266, appena in tempo per salutare il fratello che, colpito da dissenteria, morì lo stesso giorno, seguendo la sorte dell’altro fratello, Alfonso, morto quattro giorni prima dello stesso male. Carlo tornava, quindi, in Sicilia per dedicarsi alle prossime spedizioni verso Oriente. Nel 1271 occupò Durazzo e l’anno dopo si autoproclamò re d’Albania, stabilendo alleanze con Serbi e Bulgari contro l’imperatore cristiano ortodosso di Costantinopoli, Michele VIII Paleologo.
La preparazione della guerra contro Bisanzio, per le implicazioni internazionali politico-religiose fu lunga e minuziosa. I preparativi furono bloccati da Gregorio X (Tebaldo Visconti), Papa dal 1271 al 1276, che stava trattando con Michele VIII, la riunificazione dei cristiani sotto la “superiorità” della Chiesa di Roma. Dopo i brevi pontificati di Adriano V (1276), di Giovanni XXI (1276-1277), di Niccolò III (1277-1280), salì sul soglio, «per volontà di Carlo d’Angiò», Martino IV (Simon di Brion), papa dal 1281 al 1285. Uno dei primi atti del nuovo pontefice francese fu quello della scomunica dei Bizantini e della loro Chiesa, un chiaro appoggio alla crociata personale di Carlo contro quell’Impero.
Ma intanto in buona parte dell’Italia settentrionale, a partire da Genova e da alcune città lombarde, i ghibellini avevano conquistato il potere alleandosi con Alfonso X di Castiglia, facendo mancare così forti appoggi a Carlo e precludendo il passaggio via terra di truppe amiche provenienti dalla Francia. Quando Carlo decise di spostare la capitale del suo Regno da Palermo a Napoli, i baroni siciliani, che si erano visti anche colpiti nei loro antichi privilegi, trasformarono il loro malumore e la loro insofferenza verso il re francese in opposizione aperta, rivolgendosi a Pietro III d’Aragona, che aveva sposato Costanza, figlia di Manfredi e di Beatrice di Savoia, unica discendente legittima della casa sveva. Un diritto ereditato dopo che il giovane cugino Corradino di Svevia, sceso in Italia per riconquistare il regno dei suoi avi, era stato battuto da Carlo nella battaglia di Tagliacozzo (L’Aquila), il 23 agosto 1262, e barbaramente decapitato nell’odierna Piazza del Mercato di Napoli il 29 ottobre dello stesso anno.
Nel 1276, Costanza era stata incoronata con il marito regina d’Aragona, senza mai rinunciare ai suoi diritti sul trono di Sicilia. Re Pietro, supplicato dai baroni siciliani, decise di riconquistare il trono della moglie. Intanto re Carlo d’Angiò si era fatto più vessatorio. In vista della sua spedizione contro Bisanzio imponeva gravosi balzelli, requisiva cavalli e vettovaglie, attirandosi l’odio dei sudditi. L’imperatore Michele VIII Paleologo fece di tutto per impedire quella partenza, alleandosi con i ghibellini genovesi e con i baroni siciliani.
Era la sera del 31 marzo 1282, martedì dopo la Pasqua di Resurrezione, e la sollevazione dei Palermitani contro i Francesi sarebbe passata alla storia, per l’ora in cui era scoppiata, con il nome di Vespri siciliani. Da Palermo, la rivolta si propagò in tutta l’Isola e si concluse con il massacro di migliaia di francesi. Mentre Carlo, costretto dalla rivolta di Palermo a rimandare la sua partenza contro Bisanzio, era inchiodato a Messina, nell’agosto dello stesso anno 1282, Pietro d’Aragona sbarcò a Trapani con 600 armigeri e oltre 8.000 almugaveri, soldati di fanteria divenuti poi famosi per la loro crudeltà. Aragona (Spagna) e Francia si preparavano al primo loro grande scontro per il predominio sull’Italia e sul Mediterraneo. E i Siciliani avevano fatto una scelta netta a favore della Spagna.
I ricordi dei Vespri avrebbero alimentato lo spirito antifrancese del popolo siciliano in molte altre occasioni. E all’odio dei Siciliani per la Francia ha fatto, quasi sempre, riscontro la loro devozione a Spagna e Inghilterra. Lo spirito gallofobo dei Siciliani si era propagato a quasi tutta l’Italia. Se ne sarebbe avuta una palese dimostrazione in occasione della calata nella Penisola del re di Francia Carlo VIII, che in base a un vago diritto ereditario sul trono di Napoli, entrò in Italia nel 1494 con un potente esercito e raggiunse Napoli il 22 febbraio 1495. Ma una coalizione di Stati italiani, compresi anche quelli che avevano appoggiato la sua venuta, lo costrinsero a far ritorno in Francia nel luglio del 1495. La lotta tra Francia e Spagna per il predominio sull’Italia continuò con la salita sul trono francese di Luigi XII che, rifacendosi ai diritti ereditati dalla nonna Valentina Visconti, nel 1500 conquistò il Ducato di Milano e marciò verso Napoli, ma fu sconfitto nel 1503 dagli Spagnoli nella battaglia di Garigliano.
Nel Settecento sembrò per un certo tempo che i Siciliani avessero dimenticato l’antica gallofobia. La cultura, l’arte, la moda parigine e la stessa lingua francese, parlata correntemente dalla nobiltà locale, esercitarono grande influsso sugli usi e sui costumi anche del popolo. Ma quando nell’Isola giunsero le notizie della Rivoluzione del 1789 e degli eccessi che ne seguirono, il vecchio spirito antifrancese, fomentato dai nobili, ebbe di nuovo il sopravvento. E l’Isola, appoggiata dagli inglesi, rimase impenetrabile all’invasione francese.
Nel 1881, dopo l’annessione francese della Tunisia, dove vivevano decine di miglia di siciliani, la furia gallofoba avrebbe alimentato una vera e propria rivolta nell’Isola e tutta l’Italia insorse contro l’odiato vicino d’Oltralpi. Lo Schiaffo di Tunisi costrinse il Presidente del Consiglio, Benedetto Cairoli, alle dimissioni, facilitando il ritorno al governo di Agostino Depretis, che formò il suo quarto ministero tutto con ministri gallofobi. Alle penose scene di tanti immigrati italiani che lasciavano in fretta la Tunisia fecero riscontro quelli di altri nostri immigrati malmenati, il 19 e 20 giugno 1881, a Marsiglia per aver manifestato contro i soldati francesi di ritorno dalla conquista di Tunisi. Alla notizia dei fatti di Marsiglia si tennero manifestazioni di protesta in tutta Italia. A Palermo, dove erano in corso i preparativi per il VI centenario dei Vespri del 1282, quelle manifestazioni assunsero quasi il carattere di rivolta.
Al Depretis non restava che inaugurare una nuova linea di politica estera che avrebbe gettato l’Italia nelle braccia della Germania. Ma un’alleanza con la Germania non era possibile senza quella con la tanto odiata Austria. Il 20 maggio del 1882 a Vienna sarebbe stato firmato il trattato della Triplice Alleanza tra la Germania, l’Austria e l’Italia. La politica antifrancese del Depretis fu continuata da Francesco Crispi, che gli successe come primo ministro nel 1887.
I contrasti con la Francia ebbero gravi conseguenze economiche soprattutto per la Sicilia e l’Italia meridionale. In un momento di forte crisi agraria si stava assistendo non solo al peggioramento delle nostre classi rurali, i quattro quinti della popolazione, ma anche alla rovina di un gran numero di piccoli e medi proprietari terrieri. Per tutelare il nostro mercato, l’Italia, dichiarando una vera e propria guerra doganale, cercò di ostacolare l’importazione di prodotti francesi. Ma il risultato fu catastrofico. Per effetto della reciprocità, le nostre esportazioni verso la Francia, che negli anni 1881-1887 avevano raggiunto una media annuale di 444 milioni di lire, due quinti delle nostre esportazioni totali, scesero negli anni 1888-1890 a una media annua di solo 165 milioni di lire.
Particolarmente colpita fu la Sicilia, da dove la Francia importava vino, zolfo e agrumi. Alle migliaia di disoccupati siciliani per la grave crisi non restava che partire verso terre lontane, a seguire i Veneti, i Lombardi, i Toscani e tutti gli altri connazionali che li avevano preceduti sulla via dell’emigrazione. I contrasti, gli equivoci e i dissapori tra Italia e Francia, nonostante gli eventi che le hanno portato a combattere e vincere le due guerre mondiali stando dalla stessa parte e la loro stretta collaborazione nell’ambito dell’integrazione europea, vengono, di tanto in tanto, ancora a galla, per seri ma anche per futili motivi.