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L’euroscetticismo rafforza l’Europa

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03 Giu 2014 03 Giu 2014  Clara Salpietro Inviato da Clara Salpietro


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euroscetticismo

(di Nicholas Haddad) – Le recenti elezioni del Parlamento europeo hanno portato alla ribalta alcuni gruppi politici euroscettici presenti in diversi Paesi dell’Unione. Tale risultato, a detta di molti, potrebbe influire negativamente sulle prospettive dell’integrazione europea; tuttavia, il suo significato a lungo termine sarà propizio a un dibattito fruttuoso in grado di sviluppare, ulteriormente, un’identità politica europea.
In effetti, le possibili alleanze parlamentari proposte principalmente da Marine Le Pen e Nigel Farage, benché preoccupanti per il progresso dell’integrazione nel futuro prossimo, contribuiscono in modo considerevole alla concretizzazione di una politica trans-europea. Gli euroscettici, molto spesso identificati come “l’opposizione” all’unità europea, non sono ideologicamente assimilabili ai separatisti filo-russi in Ucraina o a rivoltosi in lotta, come stiamo assistendo in vari scenari nel mondo. Non fanno uso della violenza ma della burocrazia e delle strutture politiche europee che sono a disposizione per portare avanti la propria visione di un’Unione “meno unificata”.
Cercando di opporsi all’integrazione europea, gli euroscettici stessi contribuiscono alla formazione di un senso di appartenenza politica nei cittadini europei.
Il vero ostacolo alla longevità dell’UE, in quanto struttura politica democratica, è la percezione, nell’elettorato, che l’Unione, semplicemente, non serva.
L’UE ha bisogno della partecipazione popolare perché sia percepita dagli europei come un’entità legittima. Si noti la campagna pubblicitaria dell’Unione riguardo alle elezioni del Parlamento Europeo di quest’anno, la quale mostrava il Parlamento come canale della volontà popolare.
Sebbene Le Pen, Farage, Salvini e gli altri euroscettici dello stesso ceppo siano stati eletti con una piattaforma politica contraria alla centralizzazione dell’UE, hanno contribuito considerevolmente alla percezione popolare che il Parlamento Europeo sia importante e rilevante. Pur votando “contro l’Europa” gli euroscettici hanno partecipato al processo politico della stessa Unione Europea.
La possibile formazione, susseguente, di un gruppo parlamentare che sia allo stesso tempo euroscettico e trans-europeo può solo dare credibilità all’Unione nella sua dimensione politica e di governo. Nella prospettiva di un’Unione Europea, la cui sopravvivenza è condizionata dalla volontà, o meglio, dalla partecipazione popolare, un voto “negativo” è preferibile che un non voto.
Pur essendo spinto dal pensiero euroscettico, il popolo ha partecipato allo stesso processo politico contro il quale votava, dimostrando il presupposto che l’Unione, nei fatti, ha un ruolo da svolgere.
L’esperienza politica statunitense, seppure difficile da confrontare con un’entità sui generis come l’UE, potrebbe offrire una chiave di lettura per quanto concerne le prospettive a lungo termine dell’apparente crescita di euroscetticismo di quest’anno.
Al momento dell’indipendenza dalla corona britannica (1776), le 13 colonie americane erano, in pratica, stati sovrani con l’intento condiviso di cooperare. Legati ufficialmente dagli “Articoli della Confederazione e dell’Unione Perpetua” (1783), ciascuno dei 13 stati aveva la propria moneta, comandava forze armate e navali e istituiva le proprie tasse: era una nazione di 13 stati. Il governo centrale era talmente debole da essere quasi inesistente e ogni Stato manteneva la propria sovranità, libertà e indipendenza. Gli Stati concorrevano tra di loro a livello commerciale poiché ognuno dirigeva la propria economia.
Per rafforzare la debole e nuova democrazia americana, nel 1787, fu elaborata una costituzione che conferiva più potere al livello nazionale centrale. Tale costituzione che fu approvata pochi anni dopo, vide nascere, attorno alla sua definizione, un dibattito vivo tra i federalisti (quelli che volevano un forte governo centrale) e gli anti-federalisti, tra cui il tanto amato redattore della Dichiarazione d’Indipendenza, Thomas Jefferson, che difendevano il potere degli stati per paura di una tirannia centrale. Gli anti-federalisti credevano di proteggere la sovranità di stati, località e individui, mantenendo il governo più vicino al popolo. Non riuscirono a bloccare la costituzione ma ottennero delle concessioni importanti; nel sistema federalista gli stati mantenevano i loro “poteri riservati” (cioè una serie di funzioni che il governo nazionale non poteva svolgere) e la tutela dell’ordine pubblico.
Inoltre, nel sistema costituzionale americano vi è una tripartizione dei sistemi di potere: legislativo, esecutivo e giudiziario, in maniera tale che ogni ripartizione sia funzionale a quei sistemi di “checks and balances” messi a punto dalla Costituzione.
John Adams a Thomas Jefferson, rispettivamente il secondo e il terzo presidente, diedero vita ai primi partiti politici americani proprio perché avevano visioni così diverse riguardo all’allocazione del potere tra i livelli statale e nazionale.
I primi antifederalisti non erano (ancora) bellicosi e così portavano avanti la loro visione politica tramite la legittima partecipazione democratica. I concetti del federalismo e della separazione dei poteri, intanto, sono serviti a mantenere l’integrità e il buon funzionamento della nazione statunitense. Il dibattito tra un forte governo centrale e i singoli stati è vivo ancora oggi: i diritti gay, la marijuana per uso medico, la tassazione e l’Obamacare (la controversa riforma sanitaria che mira alla nazionalizzazione del sistema).
I parallelismi tra gli antifederalisti americani e gli euroscettici di oggi sono abbastanza evidenti; tutti e due sottolineano il ruolo fondamentale dei singoli stati all’interno delle proprie strutture politiche più vaste (cioè, l’USA o l’UE).
Gli antifederalisti non erano contrari alla cooperazione americana e gli euroscettici non sembrano contrari alla pace ed alla collaborazione in Europa. Viene criticata la semplice centralizzazione del potere in un’entità che appare distante dal cittadino.
Gli euroscettici, ironicamente, hanno dato una spinta positiva alla stessa Unione Europea contro la quale si oppongono. Per la prima volta in tutta la storia del Parlamento Europeo l’affluenza non è diminuita. L’Unione, così, è diventata, anche di poco, più democratica.
Tocca adesso alla macchina democratica dell’Unione Europea incanalare queste visioni e opinioni così diverse in un compromesso che vada bene per tutti. Se la macchina democratica funziona, opinioni opposte vengono mediate e si cercano compromessi. Perché funzioni, il cittadino deve esprimersi, seppure negativamente. Intanto, diversi leader politici dell’Europa euroscettica continueranno a riunirsi pacificamente ed a collaborare, malgrado le differenze culturali e linguistiche, focalizzandosi sugli interessi in comune e sui piani per il futuro.

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tag parlamento europeo, Ucraina, Nicholas Haddad, euroscettici, Marine Le Pen, Nigel Farage, antifederalisti
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