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Un saluto ad un grande Statista: il senatore Giulio Andreotti

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08 Mag 2013 08 Mag 2013  Clara Salpietro Inviato da Clara Salpietro


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Giulio Andreotti

(di Gianpaolo Ceprini) – E’ sempre difficile salutare chi parte, non tuttavia per chi ha fede. Ho da poco appreso della morte del Presidente, e per chi lo conosceva sappiamo che si tratta dell’unico Uomo che rivestisse questa carica dalla nascita: il Presidente Giulio Andreotti.
In casa mia l’On. Andreotti era una persona che faceva parte della Famiglia, gli eravamo legati, era la persona con la quale eravamo sempre in contatto, anche se a volte passavano mesi che non ci sentivamo, era lì, sempre presente, come un buon Padre che era pronto a dispensarti il consiglio giusto al momento giusto.
Si, questo era il Presidente Andreotti, l’uomo vicino a tutti, quello che ti ascoltava e sapeva darti il consiglio utile a superare il momento difficile.
Tutti, scriveranno di tutto: era belzebù per la sinistra, era l’uomo dei misteri d’Italia, era il segreto dei segreti.
Sono un uomo del popolo, e credo di voler dare con questo mio piccolo contributo alla lettura giusta di un Uomo con la U maiuscola che ha saputo fare gli interessi dello Stato italiano e sicuramente degli italiani.
In casa mia, sentii parlare dell’On. Giulio Andreotti quando ero piccino. Mio Padre aveva un’Impresa autostradale e negli anni ’60 in pieno boom economico non era facile lavorare e quando fui più grande, nell’età della ragione, mio Padre mi spiegò perché fu costretto a chiudere l’Impresa. Le tangenti erano pesanti e sicuramente chi aveva costituito da poco una società non era in condizione di poter sopportare tali oneri, visto che per partecipare alle gare si concorreva con i prezzari del Genio Civile. Oneri insopportabili che ti costringevano ad andare sotto sul conto in banca e le banche si sa non facevano e non fanno regali a nessuno. Andreotti no, lui ci aiutò senza chiedere alcunché. La sua preziosa Collaboratrice, la Signora Enea, tessitrice impagabile dei suoi rapporti, ti aiutava a superare ogni ostacolo a suo nome. Donna impagabile che lo affiancò fino all’ultimo minuto.
Di tutto questo, Caro Presidente, c’e solo memoria nei cuori degli interessati, e di gente ne ha aiutata e tanta. Ma la gratitudine non è di questo mondo, ora nessuno vuole o può dirLe grazie, tranne io, anche a nome di mio Padre, ora per allora, come si dice nella burocrazia.
Chiusa l’impresa, la nostra amicizia non diminuì. Vivono le Sue campagne politiche per Attilio Jozzelli a Viterbo, Caro Presidente, per le quali mio Padre si impiegò memore di quell’aiuto disinteressato ed affettuoso che Lei ci dette. Lo fece per la DC e per la sua corrente, giusto, i propri leader vanno conosciuti, bisogna sapere in politica con chi si ha a che fare. Oltretutto erano anni in cui il PCI usava ogni mezzo per avanzare con i suoi slogan sempre invariati dal dopoguerra, sempre gli stessi e immodificati, un solo motivo le solite false verità, ma il tempo è galantuomo ed il conto lo presenta sempre.
Ha ragione quando rispondeva a chi le domandava qualcosa su Belzebù “che forse un certo numero di allievi c’è l’ha”. Certo che ce l’ha e sono ancora lì che sperano di far trionfare le loro false “verità”.
Non ho mai smesso di seguirla con affetto, ora più di prima, perché mi accorgo di quanto valessero le sue parole e le sue sarcastiche battute. Barlumi, in un mondo di cecità, dove spesso si cerca di mistificare la verità con la realtà, ed allora anche noi piccoli dobbiamo dire quello che abbiamo vissuto.
Lei sa che vissi la mia piccola realtà politica vicino alla destra e più volte me lo rimproverò, “cosa inutile” disse, e Dio sa quanto aveva ragione, anche perché “solo il consenso” porta a risolvere i problemi della collettività. Ed aveva ragione anche in questo caso, ma me ne resi conto solo più tardi.
Assistetti alla operazione “ Greggi” di cui non capii immediatamente il suo illuminato senso, ma la politica è per grandi e non per gli attivisti, che spesso capiscono solo dopo quanto è accaduto sulle loro spalle.
Lei è stato l’unico che ha saputo andare ben oltre l’antifascismo, quell’antifascismo da cui la sinistra non ha mai saputo uscire con i propri slogan di partito, rimanendo ingessata su se stessa morendoci lentamente. Quella sinistra che aveva bisogno di un Belzebù, tanto che scaricherà su di Lei i propri strali uccidendo così l’unica possibilità di uscita dal periodo postbellico e da uno schema che li condiziona ancor oggi.
Lei è stato l’unico a dimostrare che la DC fosse il vero perno della democrazia italiana e non si limitò a difendere la Chiesa, quale strumento collante della società italiana tanto che fu definito l’uomo che incarnava “il popolo del Papa dentro la DC”.
Cosa verissima e che fece bene a fare, perché era l’unico modo per contrastare l’imbarbarimento della politica e della questione morale che trascinerà di li a pochi anni il mondo politico nelle aule dei tribunali. Tribunali che non sempre si comporteranno in modo corretto ed equanime come sarebbe dovuto, essendo schierati politicamente.
Ahimè, una guerra senza ritorno che farà vittime innocenti e senza peccato. Mi riferisco al processo Pecorelli. Che senso avrebbe uccidere il fornitore di informazioni utili all’opinione pubblica? perché uccidere chi dava informazioni su come andavano veramente le cose?
Ma potrei riferirmi anche al processo di Palermo che la vedrà impegnata a doversi difendere da accuse ingiuste e senza senso? Pagò solo l’orgoglio di aver difeso il proprio Paese affinchè fosse affrancato finalmente dal “commissariamento” dei vincitori. Grazie, Presidente, per averci provato.
Mi spiace che i vincitori per umiliare chi tentava di salvare il proprio Paese da questa vergognosa tratta, che ancora prosegue dopo sessanta anni dalla fine della guerra, non abbiano esitato ad imbastire contro di Lei accuse ingiuste con pentiti di comodo pur di continuare a spadroneggiare sulla nostra terra. Grazie, Presidente, Lei ci ha provato. Almeno un italiano è rimasto su questa terra. Come direbbe Montanelli, Lei appartiene al battaglione dei perdenti.
Ed infine, questa mia piccola testimonianza, appare in questo giorno particolare, l’8 maggio, in cui si approssima la ricorrenza della morte dell’On. Aldo Moro. Una morte che modificherà incontrovertibilmente le sorti della DC e se vogliamo della Repubblica italiana. Un evento che segnerà il destino di molti partiti politici del nostro Paese e se vogliamo del nostro futuro.
Lei fu l’unico a capire che non c’era alcuna trattativa, perché trattare significava la paralisi dello Stato italiano, tanto che disse in una intervista “se accadesse a me ho detto ai miei figli non dovete chiedere niente” perché era uno “tra i tanti” che aveva capito che le forze internazionali in gioco non avrebbero permesso la salvezza di Moro. Nel tempo mi documentai e mi resi conto che lei aveva ragione, purtroppo, non lo capì nemmeno l’On. Moro, tant’è che il 9 maggio sperava che forse sarebbe stato salvato, ignaro che un ordine ben preciso aveva già posto a conclusione la sua esistenza. Chi fu e quanti furono a pugnalare Cesare solo la storia lo dimostrerà, se lo dimostrerà.
Ha ragione quando affermava che non se la prendeva se il buon Dio “l’avrebbe messa alla prova con qualche cosa di sgradevole” , purtroppo, ciò è avvenuto ma Lei ha saputo superare con la verità che tutte le accuse mosseLe non sono state veritiere e mi dispiace se questa soddisfazione hanno cercato di dargliela parzialmente, ma anche in questo fu previdente tanto che disse “questo sistema ha i suoi difetti ma funziona”.
Addio, o meglio arrivederci, Caro Presidente, per me rimane la persona che è sempre stata vicina alla mia Famiglia come un buon Padre e gliene sono grato. Con l’affetto di sempre suo Gianpaolo Ceprini.

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